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ARCHIVIATO IN APPRENDIMENTO, CONVEGNO ERICKSON, EDUCAZIONE, FUTURE-CATION, INNOVAZIONE, NATIVI DIGITALI, PRENSKY, SCUOLA DIGITALE, TECNOLOGIE
Quando parliamo di tecnologie non ci accorgiamo di usare il termine in un’accezione limitata, alludendo di solito alle tecnologie digitali. In realtà la parola tecnologia ha un significato più ampio e richiama un ventaglio di attività umane assai più variegato.
Un altro errore che molti compiono è quello di assumere a priori un atteggiamento critico e a volte oppositivo nei confronti delle tecnologie – soprattutto se decisamente innovative come quelle digitali – dimenticando che storicamente la tecnologia è servita a migliorare la vita dell’uomo, a renderla più sicura, più facile, più comoda. E lo fa ancora oggi, ma ad un ritmo molto molto più veloce che in passato.
Non si può far finta di non vedere, di ignorare le trasformazioni che stanno avvenendo intorno a noi, che interessano soprattutto il mondo di giovani e giovanissimi, dei cosiddetti “nativi digitali”.
L’intervento di Marc Prensky al 9° Convegno Erickson sulla Qualità dell’Integrazione scolastica e sociale a Rimini (8-10 novembre 2013) sembrava rivolto proprio agli scettici, a quelli che fanno fatica a leggere la realtà, ad ammettere l’evidenza. Prensky viene dagli Stati Uniti, ha scritto più di 60 saggi sull’educazione ed è famoso nel mondo per aver coniato l’espressione “nativi digitali”, peraltro recentemente riveduta dallo stesso autore.
A Rimini Prensky ha presentato il suo nuovo libro La mente aumentata (The brain gain) e ha parlato di “Future-cation”.
Le nuove generazioni hanno un rapporto privilegiato con i moderni mezzi tecnologici. Questo fatto rende i giovani di tutto il mondo molto più simili tra loro di quanto non lo siano stati i loro genitori finanche all’interno della stessa nazione.
Appare chiaro come la tecnologia stia eliminando le distanze, livellando le differenze, moltiplicando le opportunità e tutto ciò va letto come un progresso.
Prensky, in riferimento ai Millennials, si esprime dicendo che la tecnologia è “l’aria che essi respirano, il mondo di cui amano far parte”. Le vecchie generazioni hanno conosciuto il mondo attraverso la lettura e il testo scritto, le nuove lo stanno conoscendo attraverso la tecnologia digitale.
Cosa chiedono di poter fare a scuola i nostri bambini e ragazzi? Come preferiscono apprendere? I nostri giovani amano essere connessi e cooperare coi loro pari di ogni parte del mondo. Ci domandano di seguire i loro interessi e le loro passioni e soprattutto di non annoiarsi. Ci chiedono di avere la possibilità di creare cose nuove servendosi degli strumenti del loro tempo. Sognano di realizzare cose grandi ma che siano anche vere, collegate con la realtà.
Oggi nel mondo della scuola – e dell’educazione più in generale – la tecnologia è sottostimata (quando va bene!). Prensky sostiene che si dovrebbe tenere maggiormente in considerazione la tecnologia come strumento di insegnamento e di formazione per le sue altissime potenzialità. E anche perché piace ai giovani e li fa sentire a proprio agio.
Invece la scuola continua ad istruire i ragazzi come lo faceva in passato, un passato spaventosamente lontano. Ieri una persona istruita era chi sapeva scrivere una lettera, una relazione, un saggio. Oggi questo non basta più: bisogna anche saper scrivere una mail, creare un PowerPoint, tenere un blog. E domani? Domani bisognerà saper lavorare ed interagire in una community virtuale, fare un video, programmare e chissà quanto altro ancora!
Le parole di Prensky avranno impressionato la gran parte dei 2000 insegnanti presenti. Del resto egli stesso ha ammesso di essere ben conscio dell’impatto che le sue tesi da pensatore visionario – come è stato definito – suscitano in chi lo ascolta.
Un nuovo modo di educare è richiesto dal nuovo contesto in cui viviamo, fatto di cambiamenti accelerati in un mondo interconnesso. Ma la gente odia cambiare! Perciò, consapevole di quanto spaventino i cambiamenti, Prensky ha voluto chiudere il suo intervento con un messaggio confortante:
“Per innovare non serve trasformare, ma semplicemente adattarsi al mondo in cui noi e i nostri studenti viviamo.”
La buona notizia – rassicura Prensky – è che tutti noi sappiamo bene come adattarci perché lo facciamo ogni giorno!
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