domenica 17 novembre 2013

TANTO PER CHIARIRCI UN PO' LE IDEE SU COSA FACCIAMO O SI DOVREBBE FARE A SCUOLA

LETTURA CONSIGLIATA


Insegnare, programmare e valutare per competenze
di Antonio Maiorano, autore Mondadori Education
Il concetto di didattica per competenze comincia ad affermarsi intorno alla metà degli anni ’90... 


Il concetto di didattica per competenze comincia ad affermarsi intorno alla metà degli anni ’90, nei documenti dell’Unione Europea, come il Libro bianco sull’istruzione e formazione1 a cura di Edith Cresson, allora Commissario Europeo con delega alla scienza, ricerca ed educazione, in cui si legge: «In tutti i paesi d’Europa si cercano di identificare le “competenze chiave” e di trovare i mezzi migliori di acquisirle, certificarle e valutarle. Viene proposto di mettere in atto un processo europeo che permetta di confrontare e diffondere queste definizioni, questi metodi e queste pratiche». 
L’idea di competenza deriva dall’ambito lavorativo, dove indica “il patrimonio complessivo di risorse di un individuo nel momento in cui affronta una prestazione lavorativa o il suo percorso professionale”.2
Secondo questa idea viene effettuato, per esempio, nei Centri per l’impiego, il cosiddetto “bilancio delle competenze”, un colloquio, cioè, in base al quale si individuano le potenzialità dell’individuo, in termini di formazione, esperienze e attitudini, per trovargli una collocazione sul mercato del lavoro.
La dimensione della potenzialità e quella della natura integrata della competenza sono fondamentali, perché le ritroveremo anche nell’applicazione al mondo della scuola.
È intorno al 2000, nella temperie storica della Riforma Berlinguer, che inizia la discussione in Italia su cosa si debba intendere per competenza in un ambito formativo.
Rileggiamo due definizioni che risalgono appunto a quel periodo:
1. «Per competenza si intende, in un contesto dato, potenzialità o messa in atto di una prestazione che comporti l’impiego congiunto di atteggiamenti e di motivazioni, conoscenze, abilità e capacità e che sia finalizzata al raggiungimento di uno scopo.»3
2. «Ciò che, in un contesto dato, si sa fare (abilità) sulla base di un sapere (conoscenze), per raggiungere l’obiettivo atteso e produrre conoscenza; è quindi la disposizione a scegliere, utilizzare e a padroneggiare le conoscenze, capacità e abilità idonee, in un contesto determinato, per impostare e/o risolvere un problema dato.»4
Il quadro comincia a chiarirsi: la competenza, per esplicitarsi, ha bisogno di un contesto dato, non esiste se non “in situazione”, non può darsi in astratto; è un mix di conoscenze, abilità e attitudini (atteggiamenti e motivazioni); ha a che fare con la risoluzione di un problema, con il raggiungimento di uno scopo.

Si comprende così chiaramente qual è l’elemento unificante tra il concetto di competenza in ambito lavorativo e quello in ambito formativo, naturalmente con le ovvie differenze che cercheremo di precisare.
Precisazioni terminologiche
Prima di andare avanti, è opportuno chiarire la terminologia usata (che ritroveremo anche nei documenti ufficiali), perché non sussistano equivoci.
I termini “conoscenze”, “abilità” e “attitudini” si ritrovano frequentemente sia nei documenti della Unione Europea che in quelli del MIUR, ma spesso nella scuola sono stati utilizzati con un significato non univoco: come bisogna quindi intenderli?
Il concetto di conoscenze sembra abbastanza chiaro: si tratta di «informazioni e/o procedure apprese attraverso il processo di insegnamento/apprendimento». Esse possono essere teoriche (dichiarative o know what) o pratiche (procedurali o know-how). Le prime riguardano gli oggetti della conoscenza (per esempio le coniugazioni verbali), le seconde procedure applicative (per esempio che cosa significa fare l’analisi grammaticale di una forma verbale: individuarne la coniugazione, il tempo, il modo e la persona).
Le abilità sono la capacità di applicare le conoscenze apprese per svolgere compiti o risolvere problemi (per esempio svolgere l’analisi grammaticale di una forma verbale, o inserirla correttamente in una frase). Esse possono essere cognitive (usare metodi e procedure, vedi l’esempio precedente relativo all’analisi grammaticale) o pratiche (usare strumenti e macchine; saper rintracciare nel dizionario il significato di un verbo risalendo dalla forma coniugata all’infinito).
Le attitudini, infine, secondo la terminologia europea condivisa, non devono essere intese nel senso comune di “inclinazione”, “predisposizione” (“Paolo mostra una spiccata attitudine per il disegno”), ma come gli atteggiamenti che si adottano sia a livello personale sia nei rapporti con gli altri, e che derivano da un habitus mentale appreso durante il percorso formativo (per riprendere il nostro esempio, l’abitudine a esprimersi in maniera corretta e curata).

Competenze-chiave: denominatore comune della cittadinanza europea

È comprensibile che l’interesse per le competenze sia sorto in ambito europeo, perché la loro certificazione permette la confrontabilità tra studenti provenienti da paesi e sistemi formativi diversi, che ovviamente hanno studiato programmi diversi, ma trovano un terreno comune di confronto proprio sulle competenze, intese come il denominatore comune della cittadinanza europea.
Proprio per questo una Raccomandazione del Parlamento Europeo del 2006 ha definito, nell’ambito del processo di Lisbona, quali siano le competenze chiave per la cittadinanza europea.

Ne diamo qui di seguito l’elenco:
1. comunicazione nella madrelingua
2. comunicazione nelle lingue straniere
3. competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia
4. competenza digitale
5. imparare a imparare
6. competenze interpersonali, interculturali e sociali e competenza civica
7. imprenditorialità
8. espressione culturale.
Si tratta ovviamente di competenze trasversali, sganciate dai diversi programmi scolastici, ma comunque espresse in termini di conoscenze, abilità e attitudini.
Lo stesso principio è recepito nel Quadro Europeo delle Qualifiche (EQF), elaborato dall’Unione Europea, che si propone di creare un quadro comune ai diversi sistemi formativi europei, definito in termini di competenze, abilità e conoscenze, nell’ottica di rendere confrontabili i diversi titoli di studio nell’Unione Europea.
Allo stesso modo, le principali indagini internazionali sull’apprendimento OCSE-PISA (rivolta agli studenti quindicenni), IEA-PIRLS (rivolta agli studenti al quarto anno di scolarità) e IEA-TIMSS (rivolta agli studenti al quarto e ottavo anno di scolarità) hanno al loro centro la competenza di lettura in lingua madre (OCSE-PISA e IEA-PIRLS) e le competenze matematiche e scientifiche (OCSE-PISA e IEA-TIMSS)5.

Note
1. E. Cresson (a cura di), Insegnare e apprendere: verso la società conoscitiva, Commissione europea:Libro bianco sull’istruzione e la formazione - Unione europea, Bruxelles, 1995.
2. G. Di Francesco (a cura di), Unità capitalizzabili e crediti formativi. Metodologie e strumenti di lavoro, ISFOL, Franco Angeli, Milano 1998 (il modello tuttavia risale al 1993).
3. M. Ambel in «Progettare la scuola», n. 3, 2000, p. 32.
4. Forum delle Associazioni disciplinari in «Progettare la scuola», n. 4, 2000, p. 42.
5. Per queste indagini sono scaricabili numerosi materiali dal sito dell’INVALSI (www.invalsi.it). Per uno sguardo d’insieme alle indagini internazionali: Siniscalco, Bolletta, Mayer, Pozio, Le valutazioni internazionali e la scuola italiana, Zanichelli, Bologna, 2008.

Non esistono competenze senza conoscenze

Se le competenze hanno acquisito un ruolo centrale nei documenti formativi internazionali e nazionali, come possono realmente trovare applicazione nell’attività didattica quotidiana?
Innanzitutto bisogna superare l’artificiosa, e talvolta speciosa, contrapposizione tra competenze e conoscenze, dietro la quale si celerebbe la differenza tra una scuola rigorosa e “colta” (quella “antica”) e un’altra buonista e semplificatoria (quella “moderna”). Non avrebbe senso, del resto, svincolare le competenze dai contenuti (le conoscenze), perché ovviamente le prime si innestano sui secondi, così come non avrebbe senso acquisire conoscenze fini a se stesse, che non si traducono mai in competenze (cioè nella capacità di usarle per i propri scopi nella vita “reale”).
Si può esemplificare questo assunto facendo riferimento alla geometria: tutti gli alunni della prima classe secondaria superiore di 2° grado conoscono il teorema di Pitagora e l’algoritmo di soluzione (conoscenze) e auspicabilmente sanno risolvere problemi (abilità) in cui esso sia esplicitamente chiamato in causa (si parla di triangoli rettangoli, cateti, ipotenusa).
Ma se si chiede a uno studente di operare una qualche riflessione su un disegno che rappresenta uno spazio triangolare (una piazza, una stanza) e lo studente, autonomamente, si rende conto che si tratta di un triangolo rettangolo e che la soluzione si può trovare applicando il teorema di Pitagora, allora si può parlare di competenza: lo studente (ma anche l’adulto) ha introiettato delle conoscenze ed è in grado di tirarle fuori per risolvere un problema che non ha direttamente a che fare con una situazione tipicamente scolastica.
Interdisciplinarietà delle competenze

È ovvio dunque che possedere una competenza significa aver acquisito un apprendimento significativo. La competenza, inoltre, è tendenzialmente trasversale, interdisciplinare, non si può confinare all’interno di una disciplina.
Nelle indagini internazionali, una delle competenze testate è quella di lettura in lingua madre (reading literacy). Pensiamo che di quella competenza possa occuparsi soltanto l’insegnante di Italiano? Sarebbe un errore grave: la lettura è un’attività trasversale, possiamo dire che è propedeutica a qualsiasi attività di studio o di sviluppo autonomo della persona, tanto che indagini scientifiche hanno dimostrato che una scarsa competenza di lettura, già in età molto bassa, è altamente predittiva dell’insuccesso scolastico, o comunque della difficoltà di raggiungere alti livelli di istruzione. È ovvio dunque che, in un’ottica di programmazione per competenze, tale competenza dovrebbe essere messa al centro dell’attenzione del Consiglio di Classe, perseguita da tutti gli insegnanti e testata da peculiari prove di verifica (come avviene nelle indagini internazionali, dove vengono prescelti per tale tipo di prove testi di tipologia e argomento diversi, purché – è naturale – proporzionati all’età e alle conoscenze di chi le deve affrontare).
Progettare per competenze significa quindi individuare alcune competenze su cui centrare l’azione didattica (eventualmente sottosegmentate) e su di esse concentrare l’attenzione attraverso le diverse discipline.
Come si valutano le competenze?

Le competenze fanno riferimento a procedure complesse, e dunque probabilmente non si possono valutare se non in maniera parziale, in relazione ad alcuni ambiti di esse e in maniera empirica, cioè per mezzo di una serie di prove che devono essere il più diversificate possibile, proprio per cogliere i diversi aspetti della competenza in oggetto.
Ad esempio, per testare la competenza di lettura, dovremo predisporre, come avviene nelle indagini internazionali, diverse prove, afferenti a tipi di testo e contenuti differenti, per cogliere i vari aspetti (o sotto-competenze) in cui si può segmentare la competenza complessa.
Per esempio, citando i cosiddetti framework (o quadri di riferimento) delle citate indagini internazionali, potremmo dire che il “lettore competente” deve compiere una serie di operazioni per giungere alla piena decodifica di un testo: comprendere le informazioni esplicite, fare delle inferenze (cogliere il non detto), comprendere il significato generale e lo scopo del testo, saper dare giudizi motivati sulla forma e il contenuto del testo. Dunque i nostri quesiti dovranno indagare queste diverse dimensioni della lettura, che tutte insieme contribuiscono alla piena comprensione del testo.
Naturalmente queste operazioni possono compiersi a vari livelli: è questa un’altra caratteristica della competenza, cioè il fatto che essa si articola in livelli di possesso, da un minimo a un massimo. In una prova di verifica delle competenze devono essere perciò previsti quesiti di diverso livello, che propongano difficoltà graduate, in modo da poter stabilire il livello della competenza posseduta.
Il numero di livelli può essere vario: nelle indagini internazionali se ne prevedono cinque o sei; nel modello di certificazione approntato dal MIUR, tre.
È ovvio che questo tipo di valutazione difficilmente si sovrappone al sistema numerico in uso nella nostra scuola, ma di ciò parleremo quando discuteremo di competenza nella normativa italiana.
La certificazione delle competenze

Le competenze possono acquisirsi anche in contesti non formali o informali. Si pensi, per esempio, a un giovane vissuto per alcuni anni in un paese anglosassone per motivi di lavoro. Al ritorno, la sua competenza nella lingua inglese sarà probabilmente superiore a quella di un suo coetaneo, rimasto in Italia, che abbia frequentato un corso di inglese all’università. Tuttavia il secondo avrà un attestato che certifica la sua competenza, il primo no. Se questi vorrà farsi riconoscere il suo livello di possesso della lingua inglese si dovrà sottoporre a un test, attraverso il quale la sua competenza acquisita in maniera informale sarà validata e successivamente certificata. Ciò è relativamente facile nel nostro caso, perché esiste un documento elaborato a livello europeo, il Common European Framework of Reference for Language Learning and Teaching (Quadro di riferimento comune europeo per l’apprendimento e l’insegnamento delle lingue), che individua sei livelli di competenza lnguistica (da A1 a C2) attraverso precisi parametri universalmente riconosciuti. Così, attraverso test standardizzati è possibile attribuire a ciascuno il suo livello di competenza linguistica e certificarlo.
E giungiamo così alla certificazione delle competenze, che il D.M. 139 del 22 agosto 2007 rende obbligatoria alla fine dell’obbligo scolastico, per mezzo del modello adottato ai sensi del D.M. 9 del 27 gennaio 2010.
Da quanto abbiamo sopra detto si comprende facilmente che tale decisione è stata resa imprescindibile dal contesto della normativa europea e quindi rappresenta una necessità che le scuole dovranno necessariamente affrontare. Perché tuttavia non diventi l’ennesimo adempimento burocratico da lasciarsi alle spalle con fastidio, è fondamentale coglierne la significativa implicazione anche per le pratiche didattiche.

Seconda parte. La didattica per competenze nella normativa scolastica italiana


Nel quadro estremamente variegato, e talvolta contraddittorio, che ha caratterizzato la politica scolastica italiana dell’ultimo decennio, poiché ogni governo, all’alternarsi della maggioranza politica, ha proposto una propria riforma della scuola, spesso in maniera apertamente oppositiva al governo precedente, un segno di continuità è si­curamente rappresentato dalla costante e crescente attenzione al tema delle competenze, che d’altronde veniva imposto all’attenzione nazionale dalle politiche formative di matrice europea. Alla spinta europea si aggiungeva poi quella dell’OCSE (Organizzazione per il commercio e lo sviluppo economico), organizzazione internazionale di cui anche l’Italia fa parte e che ha tra le proprie aree di interesse anche le politiche formative, considerate come fattore strategico di sviluppo di una nazione.
Dal 2000, l’OCSE promuove la ricerca PISA (Programme for International Student Assessment) che ogni tre anni si propone di misurare le competenze degli studenti quindicenni relativamente a lettura, matematica e scienze, con risultati che per l’Italia sono stati in genere poco lusinghieri. Per questi motivi l’attenzione per una didattica fondata sulle competenze, del resto al centro della riflessione pedagogica internazionale da almeno 10 anni, si diffonde in Italia intorno alla svolta del millennio, nell’ambito del dibattito inerente al cosiddetto riordino dei cicli berlingueriano e alla formazione integrata in ambito tecnico-professionale. Il riferimento alle competenze si ritrova anche nelle Indicazioni nazionali per i diversi ordini di scuola allegate al D.Lgs. 19 febbraio 2004 n. 59, promulgato dal ministro Moratti per ridefinire gli obiettivi formativi della scuola dell’infanzia, primaria, e secondaria superiore di primo grado. In esse si parla infatti di «valutazione, periodica e annuale, degli apprendimenti e del comportamento degli alunni» e di «certificazione delle competenze da essi acquisite», affidata agli insegnanti. In particolare, tale certificazione doveva trovare posto nel «Portfolio delle competenze» (poi abolito con provvedimento del ministro Fioroni), un documento – come molti ricorderanno – che avrebbe dovuto accompagnare gli studenti in tutta la loro carriera scolastica seguendola con osservazioni relative ad attività di carattere sia formale che informale.
Assi culturali e competenze-chiave di cittadinanza

La scuola superiore di secondo grado viene direttamente interessata dalla didattica per competenze dall’attività legislativa del ministro Fioroni, in particolare con il Decreto del 22/8/2007 noto come “Regolamento recante norme in materia di adempimento dell’obbligo di istruzione”. Esso, estendendo l’obbligo scolastico a 10 anni (quindi al termine del biennio della scuola superiore di secondo grado), individua quattro assi culturali e otto competenze chiave di cittadinanza intorno ai quali vanno articolati i saperi del biennio dell’obbligo. Gli assi culturali (dei linguaggi, matematico, scientifico-tecnologico e storico-sociale) riprendono la tripartizione in competenze, capacità/abilità e conoscenze, che abbiamo visto tipica dei documenti europei.
A queste si aggiungono le otto competenze chiave di cittadinanza, che a loro volta richiamano quelle individuate dalla UE. Esse sono elencate qui di seguito, con la relativa definizione:
1. Imparare a imparare: organizzare il proprio apprendimento, individuando, scegliendo e utilizzando varie fonti e varie modalità di informazione e di formazione (formale, non formale e informale), anche in funzione dei tempi disponibili, delle proprie strategie e del proprio metodo di studio e di lavoro. 

2. Progettare: elaborare e realizzare progetti riguardanti lo sviluppo delle proprie attività di studio e di lavoro, utilizzando le conoscenze apprese per stabilire obiettivi significativi e realistici e le relative priorità, valutando i vincoli e le possibilità esistenti, definendo strategie di azione e verificando i risultati raggiunti.
 
3. Comunicare 
comprendere messaggi di genere diverso (quotidiano, letterario, tecnico, scientifico) e di complessità diversa, trasmessi utilizzando linguaggi diversi (verbale, matematico, scientifico, simbolico, ecc.) mediante diversi supporti (cartacei, informatici e multimediali);
rappresentare eventi, fenomeni, principi, concetti, norme, procedure, atteggiamenti, stati d’animo, emozioni, ecc. utilizzando linguaggi diversi (verbale, matematico, scientifico, simbolico, ecc.) e diverse conoscenze disciplinari, mediante diversi supporti (cartacei, informatici e multimediali).

4. Collaborare e partecipare: interagire in gruppo, comprendendo i diversi punti di vista, valorizzando le proprie e le altrui capacità, gestendo la conflittualità, contribuendo all’apprendimento comune e alla realizzazione delle attività collettive, nel riconoscimento dei diritti fondamentali degli altri. 

5. Agire in modo autonomo e responsabile: sapersi inserire in modo attivo e consapevole nella vita sociale e far valere al suo interno i propri diritti e bisogni riconoscendo al contempo quelli altrui, le opportunità comuni, i limiti, le regole, le responsabilità. 

6. Risolvere problemi: affrontare situazioni problematiche costruendo e verificando ipotesi, individuando le fonti e le risorse adeguate, raccogliendo e valutando i dati, proponendo soluzioni utilizzando, secondo il tipo di problema, contenuti e metodi delle diverse discipline. 

7. Individuare collegamenti e relazioni: individuare e rappresentare, elaborando argomentazioni coerenti, collegamenti e relazioni tra fenomeni, eventi e concetti diversi, anche appartenenti a diversi ambiti disciplinari, e lontani nello spazio e nel tempo, cogliendone la natura sistemica, individuando analogie e differenze, coerenze e incoerenze, cause ed effetti e la loro natura probabilistica. 

8. Acquisire e interpretare l’informazione: acquisire e interpretare criticamente l’informazione ricevuta nei diversi ambiti e attraverso diversi strumenti comunicativi, valutandone l’attendibilità e l’utilità, distinguendo fatti e opinioni.
È evidente che le competenze identificate in relazione agli assi culturali, combinate con le competenze chiave di cittadinanza trasversali, rappresentano l’elemento unificante del nuovo biennio dell’obbligo al di là dei differenti curricoli presenti nei diversi indirizzi della scuola secondaria superiore.
Naturalmente un ragazzo che frequenta il Liceo classico e un altro iscritto alla istruzione professionale avranno percorsi di studio radicalmente diversi, anche in termini di discipline; comunque al termine del biennio dovranno vedersi certificate le medesime competenze, definite secondo tre livelli: di base, intermedio e avanzato, come recita il modello di certificazione allegato al D.M.  n. 9 del 27 gennaio 2010, emanato dal Ministro Gelmini.

La didattica per competenze nella scuola della riforma

Anche i piani di studio previsti per la Riforma Gelmini, che comunque non hanno abrogato quanto previsto dal precedente Ministro per l’obbligo di istruzione, presentano le competenze in una posizione di rilievo.
Le Indicazioni nazionali per i Licei si aprono, per ciascuna disciplina (l’insegnamento di Lingua e Letteratura Italiana ha lo stesso impianto in tutti gli indirizzi, poiché uguale è il numero di ore previsto per ciascun anno), con la specificazione delle Linee guida e competenze, riferite alla fine del percorso liceale, seguite dagli obiettivi di apprendimento distinti per primo biennio, secondo biennio e quinto anno.
Da questo impianto si deduce, dunque che, almeno dal punto di vista delle competenze, non appare significativa, nel delineare i piani di studio liceali, quella cesura tra biennio e triennio che segna il limite del percorso scolastico obbligatorio. Probabilmente è prevalsa la considerazione che gli indirizzi liceali siano comunque propedeutici a una prosecuzione degli studi in un percorso accademico.
Le competenze sono infatti formulate in maniera discorsiva e frammiste a considerazioni relative a quelle che nel contesto europeo si chiamerebbero capacità e a indicazioni di carattere didattico e metodologico.
Si possono comunque enucleare alcune competenze ritenute fondamentali, anche se distinte in riferimento agli ambiti di contenuto della Lingua e della Letteratura. Per la prima si afferma che lo studente al termine del percorso liceale dovrà «esprimersi, in forma scritta e orale, con chiarezza e proprietà, [...] compiere operazioni fondamentali, quali riassumere e parafrasare un testo dato, organizzare e motivare un ragionamento, [...] illustrare e interpretare in termini essenziali un fenomeno storico, culturale, scientifico». Inoltre saprà praticare la riflessione metalinguistica e avere una complessivacoscienza della storicità della nostra lingua.
In relazione alla letteratura, invece, egli avrà compreso il valore intrinseco della lettura, acquisito stabile familiarità con la letteratura e con i suoi strumenti espressivi e si sarà impadronito degli strumenti dell’analisi testuale tramite una lettura diretta dei testi.
Per quanto riguarda invece le Linee Guida per il passaggio al Nuovo Ordinamento degli Istituti Tecnici e quelle per gli Istituti Professionali (che coincidono nelle indicazioni per Lingua e Letteratura italiana), esse riprendono per il primo biennio (l’unico segmento per cui siano attualmente disponibili) le competenze individuate negli Assi culturali, aggiungendo a quelle più specificamente riferite alla Padronanza della Lingua italiana anche una competenza relativa ai cosiddetti “altri linguaggi”, vale a dire: utilizzare gli strumenti fondamentali per una fruizione consapevole del patrimonio artistico e letterario.


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