LETTURA CONSIGLIATA
Insegnare, programmare e valutare per competenze
di
Antonio Maiorano, autore Mondadori Education
Il concetto di didattica per competenze
comincia ad affermarsi intorno alla metà degli anni ’90...
Il concetto di didattica per competenze comincia ad affermarsi
intorno alla metà degli anni ’90, nei documenti dell’Unione Europea, come il
Libro bianco sull’istruzione e formazione1 a cura di Edith Cresson, allora
Commissario Europeo con delega alla scienza, ricerca ed educazione, in cui si
legge: «In tutti i paesi d’Europa si cercano di identificare le “competenze
chiave” e di trovare i mezzi migliori di acquisirle, certificarle e valutarle.
Viene proposto di mettere in atto un processo europeo che permetta di
confrontare e diffondere queste definizioni, questi metodi e queste pratiche».
L’idea di competenza deriva dall’ambito
lavorativo, dove indica “il patrimonio complessivo di risorse di un individuo
nel momento in cui affronta una prestazione lavorativa o il suo percorso
professionale”.2
Secondo questa idea viene effettuato, per
esempio, nei Centri per l’impiego, il cosiddetto “bilancio delle competenze”,
un colloquio, cioè, in base al quale si individuano le potenzialità
dell’individuo, in termini di formazione, esperienze e attitudini, per
trovargli una collocazione sul mercato del lavoro.
La dimensione della potenzialità e quella
della natura integrata della competenza sono fondamentali, perché le
ritroveremo anche nell’applicazione al mondo della scuola.
È intorno al 2000, nella temperie storica
della Riforma Berlinguer, che inizia la discussione in Italia su cosa si debba intendere per competenza in
un ambito formativo.
Rileggiamo due definizioni che risalgono
appunto a quel periodo:
1. «Per
competenza si intende, in un contesto dato, potenzialità o messa in atto di una
prestazione che comporti l’impiego congiunto di atteggiamenti e di motivazioni,
conoscenze, abilità e capacità e che sia finalizzata al raggiungimento di uno
scopo.»3
2. «Ciò
che, in un contesto dato, si sa fare (abilità) sulla base di un sapere
(conoscenze), per raggiungere l’obiettivo atteso e produrre conoscenza; è
quindi la disposizione a scegliere, utilizzare e a padroneggiare le conoscenze,
capacità e abilità idonee, in un contesto determinato, per impostare e/o risolvere
un problema dato.»4
Il quadro comincia a chiarirsi: la competenza, per esplicitarsi, ha bisogno
di un contesto dato, non esiste se non “in situazione”, non può darsi in
astratto; è un mix di conoscenze,
abilità e attitudini (atteggiamenti e motivazioni); ha a che fare con la
risoluzione di un problema, con il raggiungimento di uno scopo.
Si comprende così chiaramente qual è
l’elemento unificante tra il concetto di competenza in ambito lavorativo e
quello in ambito formativo, naturalmente con le ovvie differenze che cercheremo
di precisare.
Precisazioni terminologiche
Prima di andare avanti, è opportuno
chiarire la terminologia usata (che ritroveremo anche nei documenti ufficiali),
perché non sussistano equivoci.
I termini “conoscenze”, “abilità” e
“attitudini” si ritrovano frequentemente sia nei documenti della Unione Europea
che in quelli del MIUR, ma spesso nella scuola sono stati utilizzati con un
significato non univoco: come bisogna quindi intenderli?
Il concetto di conoscenze sembra abbastanza chiaro: si tratta di
«informazioni e/o procedure apprese attraverso il processo di
insegnamento/apprendimento». Esse
possono essere teoriche (dichiarative o know what) o pratiche (procedurali o know-how). Le
prime riguardano gli oggetti della conoscenza (per esempio le coniugazioni
verbali), le seconde procedure applicative (per esempio che cosa significa fare
l’analisi grammaticale di una forma verbale: individuarne la coniugazione, il
tempo, il modo e la persona).
Le abilità sono la capacità di applicare le conoscenze apprese per svolgere compiti o
risolvere problemi (per esempio svolgere l’analisi grammaticale di una
forma verbale, o inserirla correttamente in una frase). Esse possono essere
cognitive (usare metodi e procedure, vedi l’esempio precedente relativo
all’analisi grammaticale) o pratiche (usare strumenti e macchine; saper
rintracciare nel dizionario il significato di un verbo risalendo dalla forma
coniugata all’infinito).
Le attitudini, infine,
secondo la terminologia europea condivisa, non devono essere intese nel senso
comune di “inclinazione”, “predisposizione” (“Paolo mostra una spiccata
attitudine per il disegno”), ma come gli
atteggiamenti che si adottano sia a livello personale sia nei rapporti con gli
altri, e che derivano da un habitus mentale
appreso durante il percorso formativo (per riprendere il nostro esempio,
l’abitudine a esprimersi in maniera corretta e curata).
Competenze-chiave: denominatore
comune della cittadinanza europea
È comprensibile che l’interesse per le competenze sia sorto in
ambito europeo, perché la loro certificazione permette la confrontabilità tra
studenti provenienti da paesi e sistemi formativi diversi, che ovviamente hanno
studiato programmi diversi, ma trovano un terreno comune di confronto proprio
sulle competenze, intese come il denominatore comune della cittadinanza
europea.
Proprio per questo una Raccomandazione del Parlamento
Europeo del 2006 ha definito,
nell’ambito del processo di Lisbona, quali siano le competenze chiave per la
cittadinanza europea.
Ne diamo qui di seguito l’elenco:
1. comunicazione nella madrelingua
2. comunicazione nelle lingue straniere
3. competenza matematica e competenze di
base in scienza e tecnologia
4. competenza digitale
5. imparare a imparare
6. competenze interpersonali,
interculturali e sociali e competenza civica
7. imprenditorialità
8. espressione culturale.
Si tratta ovviamente di competenze
trasversali, sganciate dai diversi programmi scolastici, ma comunque espresse
in termini di conoscenze, abilità e attitudini.
Lo stesso principio è
recepito nel Quadro Europeo delle Qualifiche (EQF), elaborato
dall’Unione Europea, che si propone di creare un quadro comune ai diversi sistemi
formativi europei, definito in termini di competenze, abilità e conoscenze,
nell’ottica di rendere confrontabili i diversi titoli di studio nell’Unione
Europea.
Allo stesso modo, le
principali indagini internazionali sull’apprendimento OCSE-PISA (rivolta agli
studenti quindicenni), IEA-PIRLS (rivolta agli studenti al quarto
anno di scolarità) e IEA-TIMSS (rivolta
agli studenti al quarto e ottavo anno di scolarità) hanno al loro centro la
competenza di lettura in lingua madre (OCSE-PISA e IEA-PIRLS) e le competenze
matematiche e scientifiche (OCSE-PISA e IEA-TIMSS)5.
Note
1. E. Cresson (a cura di), Insegnare e apprendere: verso la società conoscitiva, Commissione europea:Libro bianco sull’istruzione e la
formazione - Unione europea,
Bruxelles, 1995.
2. G. Di Francesco (a cura di), Unità capitalizzabili e crediti formativi. Metodologie e strumenti
di lavoro, ISFOL, Franco Angeli, Milano 1998 (il modello tuttavia
risale al 1993).
3. M. Ambel in «Progettare la scuola», n. 3, 2000, p. 32.
4. Forum delle Associazioni disciplinari in «Progettare la scuola»,
n. 4, 2000, p. 42.
5. Per queste indagini sono scaricabili numerosi materiali dal sito
dell’INVALSI (www.invalsi.it). Per uno sguardo d’insieme alle indagini
internazionali: Siniscalco, Bolletta, Mayer, Pozio, Le valutazioni internazionali e
la scuola italiana, Zanichelli, Bologna, 2008.
Non esistono competenze senza conoscenze
Se le competenze hanno acquisito un ruolo
centrale nei documenti formativi internazionali e nazionali, come possono
realmente trovare applicazione nell’attività didattica quotidiana?
Innanzitutto bisogna superare l’artificiosa,
e talvolta speciosa, contrapposizione tra competenze e conoscenze, dietro la
quale si celerebbe la differenza tra una scuola rigorosa e “colta” (quella
“antica”) e un’altra buonista e semplificatoria (quella “moderna”). Non avrebbe senso, del resto, svincolare le
competenze dai contenuti (le conoscenze), perché ovviamente le prime si
innestano sui secondi, così come non avrebbe senso acquisire conoscenze fini a
se stesse, che non si traducono mai in competenze (cioè nella capacità di
usarle per i propri scopi nella vita “reale”).
Si può esemplificare questo assunto facendo
riferimento alla geometria: tutti gli alunni della prima classe secondaria
superiore di 2° grado conoscono il teorema di Pitagora e l’algoritmo di
soluzione (conoscenze) e auspicabilmente sanno risolvere problemi (abilità) in
cui esso sia esplicitamente chiamato in causa (si parla di triangoli
rettangoli, cateti, ipotenusa).
Ma se si chiede a uno studente di operare una qualche
riflessione su un disegno che rappresenta uno spazio triangolare (una piazza,
una stanza) e lo studente, autonomamente, si rende conto che si tratta di un
triangolo rettangolo e che la soluzione si può trovare applicando il teorema di
Pitagora, allora si può parlare di competenza: lo studente (ma anche l’adulto)
ha introiettato delle conoscenze ed è in grado di tirarle fuori per risolvere
un problema che non ha direttamente a che fare con una situazione tipicamente
scolastica.
Interdisciplinarietà delle competenze
È ovvio dunque che possedere una competenza significa aver
acquisito un apprendimento significativo. La competenza, inoltre, è
tendenzialmente trasversale, interdisciplinare, non si può confinare
all’interno di una disciplina.
Nelle indagini
internazionali, una delle competenze testate è quella di lettura in lingua
madre (reading literacy). Pensiamo che di quella
competenza possa occuparsi soltanto l’insegnante di Italiano? Sarebbe un errore
grave: la lettura è un’attività trasversale, possiamo dire che è propedeutica a
qualsiasi attività di studio o di sviluppo autonomo della persona, tanto che indagini scientifiche hanno
dimostrato che una scarsa competenza di lettura, già in età molto bassa, è
altamente predittiva dell’insuccesso scolastico, o comunque della difficoltà di
raggiungere alti livelli di istruzione. È ovvio dunque che, in un’ottica di
programmazione per competenze, tale competenza dovrebbe essere messa al centro
dell’attenzione del Consiglio di Classe, perseguita da tutti gli insegnanti e
testata da peculiari prove di verifica (come avviene nelle indagini
internazionali, dove vengono prescelti per tale tipo di prove testi di
tipologia e argomento diversi, purché – è naturale – proporzionati all’età e
alle conoscenze di chi le deve affrontare).
Progettare per competenze significa quindi individuare
alcune competenze su cui centrare l’azione didattica (eventualmente
sottosegmentate) e su di esse concentrare l’attenzione attraverso le diverse
discipline.
Come si valutano le competenze?
Le competenze fanno riferimento a procedure
complesse, e dunque probabilmente non si possono valutare se non in maniera
parziale, in relazione ad alcuni ambiti di esse e in maniera empirica, cioè per
mezzo di una serie di prove che devono essere il più diversificate possibile,
proprio per cogliere i diversi aspetti della competenza in oggetto.
Ad esempio, per testare la competenza di
lettura, dovremo predisporre, come avviene nelle indagini internazionali,
diverse prove, afferenti a tipi di testo e contenuti differenti, per cogliere i
vari aspetti (o sotto-competenze) in cui si può segmentare la competenza
complessa.
Per esempio, citando i
cosiddetti framework (o quadri di riferimento) delle citate indagini
internazionali, potremmo dire che il “lettore competente” deve compiere una
serie di operazioni per giungere alla piena decodifica di un testo: comprendere
le informazioni esplicite, fare delle inferenze (cogliere il non detto),
comprendere il significato generale e lo scopo del testo, saper dare giudizi
motivati sulla forma e il contenuto del testo. Dunque i nostri quesiti dovranno
indagare queste diverse dimensioni della lettura, che tutte insieme
contribuiscono alla piena comprensione del testo.
Naturalmente queste operazioni possono
compiersi a vari livelli: è questa
un’altra caratteristica della competenza, cioè il fatto che essa si articola in
livelli di possesso, da un minimo a un massimo. In una prova di verifica
delle competenze devono essere perciò previsti quesiti di diverso livello, che
propongano difficoltà graduate, in modo da poter stabilire il livello della
competenza posseduta.
Il numero di livelli può essere vario:
nelle indagini internazionali se ne prevedono cinque o sei; nel modello di
certificazione approntato dal MIUR, tre.
È ovvio che questo tipo di valutazione
difficilmente si sovrappone al sistema numerico in uso nella nostra scuola, ma
di ciò parleremo quando discuteremo di competenza nella normativa italiana.
La certificazione delle competenze
Le competenze
possono acquisirsi anche in contesti non formali o informali. Si pensi, per
esempio, a un giovane vissuto per alcuni anni in un paese anglosassone per
motivi di lavoro. Al ritorno, la sua competenza nella lingua inglese sarà
probabilmente superiore a quella di un suo coetaneo, rimasto in Italia, che
abbia frequentato un corso di inglese all’università. Tuttavia il secondo avrà
un attestato che certifica la sua competenza, il primo no. Se questi vorrà
farsi riconoscere il suo livello di possesso della lingua inglese si dovrà
sottoporre a un test, attraverso il quale la sua competenza acquisita in
maniera informale sarà validata e successivamente certificata. Ciò è
relativamente facile nel nostro caso, perché esiste un documento elaborato a
livello europeo, il Common European Framework of Reference for Language Learning and
Teaching (Quadro di
riferimento comune europeo per l’apprendimento e l’insegnamento delle lingue),
che individua sei livelli di competenza lnguistica (da A1 a C2) attraverso
precisi parametri universalmente riconosciuti. Così, attraverso test
standardizzati è possibile attribuire a ciascuno il suo livello di competenza
linguistica e certificarlo.
E giungiamo così alla certificazione delle competenze, che il
D.M. 139 del 22 agosto 2007 rende obbligatoria alla fine dell’obbligo
scolastico, per mezzo del modello adottato ai sensi del D.M. 9 del 27 gennaio
2010.
Da quanto abbiamo sopra detto si comprende
facilmente che tale decisione è stata resa imprescindibile dal contesto della
normativa europea e quindi rappresenta una necessità che le scuole dovranno
necessariamente affrontare. Perché tuttavia non diventi l’ennesimo adempimento
burocratico da lasciarsi alle spalle con fastidio, è fondamentale coglierne la
significativa implicazione anche per le pratiche didattiche.
Seconda parte. La didattica per
competenze nella normativa scolastica italiana
Nel quadro estremamente variegato, e talvolta contraddittorio,
che ha caratterizzato la politica scolastica italiana dell’ultimo decennio,
poiché ogni governo, all’alternarsi della maggioranza politica, ha proposto una
propria riforma della scuola, spesso in maniera apertamente oppositiva al
governo precedente, un segno di continuità è sicuramente rappresentato dalla
costante e crescente attenzione al tema delle competenze, che d’altronde veniva
imposto all’attenzione nazionale dalle politiche formative di matrice europea. Alla
spinta europea si aggiungeva poi quella dell’OCSE (Organizzazione per il
commercio e lo sviluppo economico), organizzazione internazionale di cui anche
l’Italia fa parte e che ha tra le proprie aree di interesse anche le politiche
formative, considerate come fattore strategico di sviluppo di una nazione.
Dal 2000, l’OCSE promuove la ricerca PISA (Programme for International Student Assessment) che ogni tre anni si propone di misurare le competenze degli studenti quindicenni relativamente a lettura, matematica e scienze, con risultati che per l’Italia sono stati in genere poco lusinghieri. Per questi motivi l’attenzione per una didattica fondata sulle competenze, del resto al centro della riflessione pedagogica internazionale da almeno 10 anni, si diffonde in Italia intorno alla svolta del millennio, nell’ambito del dibattito inerente al cosiddetto riordino dei cicli berlingueriano e alla formazione integrata in ambito tecnico-professionale. Il riferimento alle competenze si ritrova anche nelle Indicazioni nazionali per i diversi ordini di scuola allegate al D.Lgs. 19 febbraio 2004 n. 59, promulgato dal ministro Moratti per ridefinire gli obiettivi formativi della scuola dell’infanzia, primaria, e secondaria superiore di primo grado. In esse si parla infatti di «valutazione, periodica e annuale, degli apprendimenti e del comportamento degli alunni» e di «certificazione delle competenze da essi acquisite», affidata agli insegnanti. In particolare, tale certificazione doveva trovare posto nel «Portfolio delle competenze» (poi abolito con provvedimento del ministro Fioroni), un documento – come molti ricorderanno – che avrebbe dovuto accompagnare gli studenti in tutta la loro carriera scolastica seguendola con osservazioni relative ad attività di carattere sia formale che informale.
Dal 2000, l’OCSE promuove la ricerca PISA (Programme for International Student Assessment) che ogni tre anni si propone di misurare le competenze degli studenti quindicenni relativamente a lettura, matematica e scienze, con risultati che per l’Italia sono stati in genere poco lusinghieri. Per questi motivi l’attenzione per una didattica fondata sulle competenze, del resto al centro della riflessione pedagogica internazionale da almeno 10 anni, si diffonde in Italia intorno alla svolta del millennio, nell’ambito del dibattito inerente al cosiddetto riordino dei cicli berlingueriano e alla formazione integrata in ambito tecnico-professionale. Il riferimento alle competenze si ritrova anche nelle Indicazioni nazionali per i diversi ordini di scuola allegate al D.Lgs. 19 febbraio 2004 n. 59, promulgato dal ministro Moratti per ridefinire gli obiettivi formativi della scuola dell’infanzia, primaria, e secondaria superiore di primo grado. In esse si parla infatti di «valutazione, periodica e annuale, degli apprendimenti e del comportamento degli alunni» e di «certificazione delle competenze da essi acquisite», affidata agli insegnanti. In particolare, tale certificazione doveva trovare posto nel «Portfolio delle competenze» (poi abolito con provvedimento del ministro Fioroni), un documento – come molti ricorderanno – che avrebbe dovuto accompagnare gli studenti in tutta la loro carriera scolastica seguendola con osservazioni relative ad attività di carattere sia formale che informale.
Assi culturali e competenze-chiave di cittadinanza
La scuola superiore di secondo grado viene
direttamente interessata dalla didattica per competenze dall’attività
legislativa del ministro Fioroni, in particolare con il Decreto del 22/8/2007
noto come “Regolamento recante norme in materia di adempimento dell’obbligo di
istruzione”. Esso, estendendo l’obbligo scolastico a 10 anni (quindi al termine
del biennio della scuola superiore di secondo grado), individua quattro assi
culturali e otto competenze chiave di cittadinanza intorno ai quali vanno
articolati i saperi del biennio dell’obbligo. Gli assi culturali (dei
linguaggi, matematico, scientifico-tecnologico e storico-sociale) riprendono la
tripartizione in competenze, capacità/abilità e conoscenze, che abbiamo visto
tipica dei documenti europei.
A queste si aggiungono le otto competenze chiave di cittadinanza, che a loro volta richiamano quelle individuate dalla UE. Esse sono elencate qui di seguito, con la relativa definizione:
1. Imparare a imparare: organizzare il proprio apprendimento, individuando, scegliendo e utilizzando varie fonti e varie modalità di informazione e di formazione (formale, non formale e informale), anche in funzione dei tempi disponibili, delle proprie strategie e del proprio metodo di studio e di lavoro.
A queste si aggiungono le otto competenze chiave di cittadinanza, che a loro volta richiamano quelle individuate dalla UE. Esse sono elencate qui di seguito, con la relativa definizione:
1. Imparare a imparare: organizzare il proprio apprendimento, individuando, scegliendo e utilizzando varie fonti e varie modalità di informazione e di formazione (formale, non formale e informale), anche in funzione dei tempi disponibili, delle proprie strategie e del proprio metodo di studio e di lavoro.
2. Progettare: elaborare e realizzare progetti riguardanti lo sviluppo delle proprie attività di studio e di lavoro, utilizzando le conoscenze apprese per stabilire obiettivi significativi e realistici e le relative priorità, valutando i vincoli e le possibilità esistenti, definendo strategie di azione e verificando i risultati raggiunti.
3. Comunicare
comprendere messaggi di genere diverso (quotidiano, letterario, tecnico, scientifico) e di complessità diversa, trasmessi utilizzando linguaggi diversi (verbale, matematico, scientifico, simbolico, ecc.) mediante diversi supporti (cartacei, informatici e multimediali);
rappresentare eventi, fenomeni, principi, concetti, norme, procedure, atteggiamenti, stati d’animo, emozioni, ecc. utilizzando linguaggi diversi (verbale, matematico, scientifico, simbolico, ecc.) e diverse conoscenze disciplinari, mediante diversi supporti (cartacei, informatici e multimediali).
4. Collaborare e partecipare: interagire in gruppo, comprendendo i diversi punti di vista, valorizzando le proprie e le altrui capacità, gestendo la conflittualità, contribuendo all’apprendimento comune e alla realizzazione delle attività collettive, nel riconoscimento dei diritti fondamentali degli altri.
5. Agire in modo autonomo e responsabile: sapersi inserire in modo attivo e consapevole nella vita sociale e far valere al suo interno i propri diritti e bisogni riconoscendo al contempo quelli altrui, le opportunità comuni, i limiti, le regole, le responsabilità.
6. Risolvere problemi: affrontare situazioni problematiche costruendo e verificando ipotesi, individuando le fonti e le risorse adeguate, raccogliendo e valutando i dati, proponendo soluzioni utilizzando, secondo il tipo di problema, contenuti e metodi delle diverse discipline.
7. Individuare collegamenti e relazioni: individuare e rappresentare, elaborando argomentazioni coerenti, collegamenti e relazioni tra fenomeni, eventi e concetti diversi, anche appartenenti a diversi ambiti disciplinari, e lontani nello spazio e nel tempo, cogliendone la natura sistemica, individuando analogie e differenze, coerenze e incoerenze, cause ed effetti e la loro natura probabilistica.
8. Acquisire e interpretare l’informazione: acquisire e interpretare criticamente l’informazione ricevuta nei diversi ambiti e attraverso diversi strumenti comunicativi, valutandone l’attendibilità e l’utilità, distinguendo fatti e opinioni.
È evidente che le competenze identificate in relazione agli assi culturali, combinate con le competenze chiave di cittadinanza trasversali, rappresentano l’elemento unificante del nuovo biennio dell’obbligo al di là dei differenti curricoli presenti nei diversi indirizzi della scuola secondaria superiore.
Naturalmente un ragazzo che frequenta il Liceo classico e un altro iscritto alla istruzione professionale avranno percorsi di studio radicalmente diversi, anche in termini di discipline; comunque al termine del biennio dovranno vedersi certificate le medesime competenze, definite secondo tre livelli: di base, intermedio e avanzato, come recita il modello di certificazione allegato al D.M. n. 9 del 27 gennaio 2010, emanato dal Ministro Gelmini.
La didattica per competenze nella scuola della riforma
Anche i piani di studio
previsti per la Riforma Gelmini, che comunque non hanno abrogato quanto
previsto dal precedente Ministro per l’obbligo di istruzione, presentano le
competenze in una posizione di rilievo.
Le Indicazioni nazionali per i Licei si aprono, per ciascuna disciplina (l’insegnamento di Lingua e Letteratura Italiana ha lo stesso impianto in tutti gli indirizzi, poiché uguale è il numero di ore previsto per ciascun anno), con la specificazione delle Linee guida e competenze, riferite alla fine del percorso liceale, seguite dagli obiettivi di apprendimento distinti per primo biennio, secondo biennio e quinto anno.
Da questo impianto si deduce, dunque che, almeno dal punto di vista delle competenze, non appare significativa, nel delineare i piani di studio liceali, quella cesura tra biennio e triennio che segna il limite del percorso scolastico obbligatorio. Probabilmente è prevalsa la considerazione che gli indirizzi liceali siano comunque propedeutici a una prosecuzione degli studi in un percorso accademico.
Le competenze sono infatti formulate in maniera discorsiva e frammiste a considerazioni relative a quelle che nel contesto europeo si chiamerebbero capacità e a indicazioni di carattere didattico e metodologico.
Si possono comunque enucleare alcune competenze ritenute fondamentali, anche se distinte in riferimento agli ambiti di contenuto della Lingua e della Letteratura. Per la prima si afferma che lo studente al termine del percorso liceale dovrà «esprimersi, in forma scritta e orale, con chiarezza e proprietà, [...] compiere operazioni fondamentali, quali riassumere e parafrasare un testo dato, organizzare e motivare un ragionamento, [...] illustrare e interpretare in termini essenziali un fenomeno storico, culturale, scientifico». Inoltre saprà praticare la riflessione metalinguistica e avere una complessivacoscienza della storicità della nostra lingua.
In relazione alla letteratura, invece, egli avrà compreso il valore intrinseco della lettura, acquisito stabile familiarità con la letteratura e con i suoi strumenti espressivi e si sarà impadronito degli strumenti dell’analisi testuale tramite una lettura diretta dei testi.
Per quanto riguarda invece le Linee Guida per il passaggio al Nuovo Ordinamento degli Istituti Tecnici e quelle per gli Istituti Professionali (che coincidono nelle indicazioni per Lingua e Letteratura italiana), esse riprendono per il primo biennio (l’unico segmento per cui siano attualmente disponibili) le competenze individuate negli Assi culturali, aggiungendo a quelle più specificamente riferite alla Padronanza della Lingua italiana anche una competenza relativa ai cosiddetti “altri linguaggi”, vale a dire: utilizzare gli strumenti fondamentali per una fruizione consapevole del patrimonio artistico e letterario.
Le Indicazioni nazionali per i Licei si aprono, per ciascuna disciplina (l’insegnamento di Lingua e Letteratura Italiana ha lo stesso impianto in tutti gli indirizzi, poiché uguale è il numero di ore previsto per ciascun anno), con la specificazione delle Linee guida e competenze, riferite alla fine del percorso liceale, seguite dagli obiettivi di apprendimento distinti per primo biennio, secondo biennio e quinto anno.
Da questo impianto si deduce, dunque che, almeno dal punto di vista delle competenze, non appare significativa, nel delineare i piani di studio liceali, quella cesura tra biennio e triennio che segna il limite del percorso scolastico obbligatorio. Probabilmente è prevalsa la considerazione che gli indirizzi liceali siano comunque propedeutici a una prosecuzione degli studi in un percorso accademico.
Le competenze sono infatti formulate in maniera discorsiva e frammiste a considerazioni relative a quelle che nel contesto europeo si chiamerebbero capacità e a indicazioni di carattere didattico e metodologico.
Si possono comunque enucleare alcune competenze ritenute fondamentali, anche se distinte in riferimento agli ambiti di contenuto della Lingua e della Letteratura. Per la prima si afferma che lo studente al termine del percorso liceale dovrà «esprimersi, in forma scritta e orale, con chiarezza e proprietà, [...] compiere operazioni fondamentali, quali riassumere e parafrasare un testo dato, organizzare e motivare un ragionamento, [...] illustrare e interpretare in termini essenziali un fenomeno storico, culturale, scientifico». Inoltre saprà praticare la riflessione metalinguistica e avere una complessivacoscienza della storicità della nostra lingua.
In relazione alla letteratura, invece, egli avrà compreso il valore intrinseco della lettura, acquisito stabile familiarità con la letteratura e con i suoi strumenti espressivi e si sarà impadronito degli strumenti dell’analisi testuale tramite una lettura diretta dei testi.
Per quanto riguarda invece le Linee Guida per il passaggio al Nuovo Ordinamento degli Istituti Tecnici e quelle per gli Istituti Professionali (che coincidono nelle indicazioni per Lingua e Letteratura italiana), esse riprendono per il primo biennio (l’unico segmento per cui siano attualmente disponibili) le competenze individuate negli Assi culturali, aggiungendo a quelle più specificamente riferite alla Padronanza della Lingua italiana anche una competenza relativa ai cosiddetti “altri linguaggi”, vale a dire: utilizzare gli strumenti fondamentali per una fruizione consapevole del patrimonio artistico e letterario.
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