L’uomo ha delegato per millenni ai poeti la capacità di generare realtà
inedite: saprà raccogliere la sfida che ha davanti per cui ogni uomo potrà
diventare poeta, ridefinendo così il paradigma della poesia?
LE PAROLE COME SPAZIO
Castelli,
piazze, palazzi, povere case, campi di battaglia, campi di grano.
Osterie,
fiumi, vigneti, capannoni bui di fabbriche disumane,
stanze e chincaglierie, giardini all'inglese,
giardini
che con palmizi d’incerta origine vorrebbero ricordare l’Africa.
Paesaggi
visti dalla cime delle montagne, dalle colline,
paesaggi in
movimento proiettati sul finestrino di un treno luciferino.
Tram, caffè,
teatri, città osservate dalla vetta di campanili medievali,
città
notturne scrutate dal mare profondo.
Strade,
mercati, armadi mai aperti,
cassetti
che racchiudono ricordi di campagne luminose e perse, cancellate.
Chiese affollate, sepolcri, giungle, mari
sterminati di luce.
Spazi
vissuti spazi raccontati dalla memoria
Spazi mai
visti immaginati.
Spazi
aperti spazi chiusi
l’infinitamente
grande l’infinitamente piccolo.
Luoghi da
toccare, da mangiare, che si annusano che si ascoltano.
Lo spazio
che non c’è,
parole
ricche, parole povere
ma sempre
spazio.
Liberamente tratto da
“Comunicazione generativa” di Luca Toschi, p 362