venerdì 3 maggio 2013

PEDAGOGIA DELLE RISORSE UMANE

2^ LEZIONE PROF. POLLO

IL FONDAMENTO ANTROPOLOGICO

Alla base della Pedagogia culturale dell’anima vi è un preciso  fondamento antropologico che considera l’uomo come:
1.       Essere simbolico culturale
2.       Essere tessitore del tempo
3.       Essere mortale
4.       Essere come totalità limitata e aperta al trascendente
5.       Essere aperto al mistero della coscienza.

Questi sono alcuni degli aspetti più significativi della concezione antropologica illustrata dal prof.
Il concetto di uomo come essere culturale e simbolico si basa sul pensiero filosofico di E. CASSIRER (TESTO “LA FILOSOFIA DELLE FORME SIMBOLICHE”), lui considera l’uomo come un essere simbolico che ha un rapporto con se stesso, con la natura, con la realtà in generale,  mediato dai sistemi simbolici costituiti dalla cultura e dai suoi linguaggi.
La cultura è considerata, come dice un grande semiologo russo LOTMAN J.M., una sorta di SEMIOSFERA in cui l’uomo abita. Per comprendere pienamente il concetto di cultura è necessario definirla in modo più approfondito. Noi abbiamo due modi di definire la cultura:
1.       Secondo una vecchia e classica definizione dell’antropologia culturale fornita dallo studioso TAYLOR, si considera la cultura come quell’insieme complesso che comprende la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società. Questa è una delle definizioni classiche dell’antropologia culturale che presenta un limite, quella di considerare la cultura come qualcosa di statico, come una sorta di magazzino dove si trovano tutti gli elementi individuati dal TAYLOR (la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine,…), l’acquisizione della cultura pertanto è l’appropriarsi di ciò che è contenuto in questo magazzino, contenitore. LOTMAN critica questa impostazione perché per lui la cultura non è un qualcosa di statico, ma è un vero e proprio sistema vivente, anzi lui la definisce come una INTELLIGENZA COLLETTIVA. Dunque la cultura non è tanto quel sistema definito da TAYLOR come un deposito ma è un complesso di regole e di modelli che consentono all’uomo di elaborare , di creare, di produrre lui stesso tutti quegli elementi di cui parla Taylor e di tutti quei comportamenti che lo faranno riconoscere come appartenente a una data società. Per spiegare meglio la sua interpretazione LOTMAN  effettua un parallelo tra lingua e cultura; afferma che noi (l’essere umano) conosciamo una lingua non quando abbiamo imparato a memoria tutte le sue regole, le sue frasi, le espressioni caratteristiche di una specifica lingua, ciò infatti sarebbe impossibile!
Noi conosciamo una lingua quando partendo da alcune regole, da alcuni modelli e da un vocabolario dato siamo in grado di produrre espressioni linguistiche corrette mai usate e di comprendere e decodificare sequenze linguistiche mai sentite.
Quindi, l’individuo, acquisisce una lingua non immagazzinando gli elementi di cui è composta ma solo quando è in grado di produrre quegli elementi che appartengono alla lingua e quindi alla cultura di riferimento.
LOTMAN, in seguito, effettua un altro parallelismo fra cultura e lingua, partendo dal linguista DE SAUSSURE che, della lingua, distingueva la LANGUE E LA PAROLE. La LANGUE per de.S era la lingua come sistema globale, intesa nella sua totalità: vocaboli, regole, modelli, che noi non incontreremo mai, perché noi abbiamo esperienza solo di espressioni particolari, concrete che de. S. identifica con il termine PAROLE. LOTMAN diceva che, allo stesso modo, la cultura è come la LANGuE, noi non incontreremo mai la cultura nella sua totalità, ma incontreremo alcune manifestazioni particolari e concrete, corrispondenti agli elementi definiti da de S., PAROLE. LOTMAN individua gli elementi detti PAROLE nei processi di comunicazione; perciò dal parallelo fra LANGUE E PAROLE, effettua un altro parallelismo fra cultura e comunicazione.
La cultura si manifesta sempre attraverso i processi di comunicazione.
Per comprendere pienamente il pensiero di LOTMAN è opportuno riferirsi ad un concetto ampio di comunicazione, xchè la comunicazione non è solo lo scambio delle informazioni così come normalmente siamo abituati a identificarlo. Per definire correttamente il concetto di comunicazione consideriamo gli studi effettuati dall’antropologo STRAUSS L., il quale diceva che tutta la cultura si esprime attraverso tre processi comunicativi:
1.       Lo scambio dei segni, ovvero la cultura che avviene attraverso lo scambio delle informazioni nel modello classico.
2.       Lo scambio dei beni e servizi che avviene nel sistema economico.
3.       Lo scambio delle donne, inteso non nella sua accezione moderna, ma riferita alle politiche matrimoniali, di parentela che costituivano le varie comunità, tribù, aggregazioni. Oggi potrebbe essere definita come SCAMBIO PARENTALE.
Queste tre forme di comunicazione esprimono tutta la cultura di una società che si manifesta in un processo di circolarità tra cultura e comunicazione poiché la cultura rende possibile la comunicazione e questa, allo stesso tempo, modifica la cultura; riprendendo il discorso relativo alla lingua è la LANGUE che rende possibile la PAROLE, cioè l’atto linguistico concreto, la PAROLE modifica la LANGUE, infatti le lingue, in quanto sistemi viventi, si modificano diacronicamente proprio attraverso l’uso che ne viene fatto, così avviene per i processi culturali.
Un altro elemento importante nella concezione di cultura di LOTM., è che considera la lingua come un sistema vivente perciò, come sistema vivente una cultura può anche impazzire, vedi nazismo, persecuzioni in Ruanda, guerra dei Balcani, ecc..
Come ogni sistema vivente, la cultura ha un suo ciclo vitale, pertanto è mortale, ma di fronte a questo noi oggi non ci rassegniamo; quando si percepisce che una data cultura è a rischio di estinzione si fa di tutto per conservarla e come se l’uomo praticasse nei suoi confronti una sorta di accanimento terapeutico.
Un altro punto importante e che nei confronti di una cultura noi non possiamo accettarla così com’è per il semplice fatto che esista, ovvero non possiamo ritenere una cultura sempre buona è, invece opportuno analizzarla a fondo per capire se essa è davvero rispettosa della vita umana. Per effettuare questa dettagliata analisi si potrebbe fare riferimento alla CARTA UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL’UOMO.
Quindi l’uomo, diceva CASSIRER, è un essere naturale simbolico che fa un salto di qualità rispetto alla propria natura, diventando non solo un essere naturale, ma anche culturale.
Uno degli elementi importanti della cultura, infatti, è costituito proprio dal linguaggio simbolico che corrisponde alla nostra lingua. Il linguaggio simbolico non è semplicemente uno strumento per descrivere pensieri, o interpretare la realtà interna o esterna all’uomo. La lingua non è un passivo descrittore dei pensieri e della realtà, ma è qualcosa che dà forma, organizza, costituisce i pensieri così come organizza e costituisce la realtà esterna.
Questo principio viene anche chiamato IPOTESI WHORF; WHORF, etnolinguista, ha studiato la lingua del popolo Hopi, lingua non indoeuropea. Lo studioso si era accorto che nella  (http://it.wikipedia.org/wiki/Hopi) loro lingua non esisteva una distinzione fra nomi e verbi, poiché nella loro cultura non c’era la distinzione fra gli aspetti statici e quelli dinamici. Nella realtà che la lingua Hopi disegna, tutto si trasforma, vi è un costante divenire, nulla permane uguale a se stesso. Se si chiede a un Hopi cos’è il tempo, risponderà indicando la pecora, ecc..Per gli Hopi, proprio in virtù di questa concezione dinamica della cultura, non esisteva il Presente, ma solo il Passato, ciò che è già accaduto, e il Futuro, ovvero ciò che deve accadere. Il Presente per gli Hopi era una inesistente linea attraverso cui ciò che deve accadere accade. La realtà, il loro mondo era fatto di cose che sono accadute e di cose che devono ancora accadere. Per gli Hopi, inoltre non esisteva il concetto di Simultaneità.
Whorf dice che noi abitiamo un mondo disegnato dalla nostra lingua, per cui parlanti lingue diverse, abitano mondi diversi, o meglio che sono parzialmente diversi.
Nella cultura la lingua gioca un ruolo importante, ciò era riconosciuto anche da un famoso letterato rumeno, in esilio a Parigi………………..? che diceva “Non si abita un paese, ma si abita una lingua” proprio a indicare che nella lingua, così come nel tessuto culturale, l’uomo si realizza. Questo è talmente vero che per eliminare l’identità culturale di un popolo basta privarlo dell’uso della sua lingua.
La lingua è possibile considerarla al vertice del sistema dei differenti linguaggi culturali, la lingua umana è l’unico linguaggio che può parlare di sé e di tutti gli altri linguaggi; essa ha una funzione metalinguistica, ovvero, capace di spiegare, interpretare, esprimere analisi critiche dei segni di cui sono formate le altre lingue, le altre forme espressive dell’uomo come l’arte, la musica, le immagini, ecc..
Questa funzione della lingua la colloca al centro dell’umano e consente di dire che c’è una stretta interdipendenza fra lingua e coscienza; ci permette di dire che l’uomo è emerso alla coscienza nel momento stesso in cui ha acquisito la lingua. La lingua costruisce un mondo, parlanti lingue diverse, abitano mondi parzialmente diversi proprio questa riflessione faceva dire a LOTMAN che una sola lingua non è in grado di descrivere in modo attendibile la realtà, per farlo occorrono almeno due lingue e che una lettura completa della realtà la si ha solo attraverso tutte le lingue. Tutte le lingue del mondo sono in grado di descrivere i numerosi aspetti della realtà effettiva.
Perciò LOTM. Ritiene la pluralità delle lingue come un strumento importantissimo  per interpretare il mondo dell’uomo. La pluralità delle lingue è dunque costitutiva della cultura e rappresenta una ricchezza costitutiva dell’umano, ribaltando completamente il mito della torre di Babele.
Ultimo elemento significativo della cultura è la MEMORIA; la cultura come sistema vivente è dotata di memoria. Esiste una memoria della cultura sottoposta a tre processi:
1.       La RIMOZIONE
2.       LA SELEZIONE
3.       L’OBLIO
La memoria della cultura può avere delle parti rimosse legate alle vicende del popolo di una data cultura, vicende vissute, considerate indegne che, invece di essere affrontate vengono rimosse come accade nell’individuo umano. Ogni cultura ha un rimosso, ma il rimosso di una cultura non diventa inoffensivo, ciò che è rimosso continua a condizionare la vita di quella cultura diciamo in modo implicito, non consapevole, in modo sotterraneo.
Il secondo meccanismo è la selezione, ovvero tutte quelle parti della cultura che non sono più utili alla vita del presente vengono selezionate e eliminate dalla cultura stessa, il prof fa l’esempio delle ricette culinarie: la tradizione legata ai cibi prevedeva anticamente una cottura lunghissima come quella per il ragù, oggi per lo stile di vita moderno, improntato sulla cucina veloce, la tradizione lenta dell’elaborazione di un cibo non è più rispondente alle nuove esigenze culturali. Il meccanismo della selezione elimina via, via quegli elementi, quegli aspetti ritenuti non più funzionali alla vita presente, alla contemporaneità.
Il terzo elemento è l’oblio, il dimenticare in una cultura è legato al fatto che qualcosa esistente nella memoria culturale non è più riattualizzato. Capita nella cultura ciò che accade quando impariamo una poesia a memoria, se per lungo tempo non la recitiamo, non la richiamiamo alla memoria, quando tentiamo di farlo, dopo tanto tempo, non la ricordiamo come vorremmo perché ciò che non è periodicamente riattualizzato tende a essere obliato. Questo è il motivo per cui nelle culture orali ci sono dei rituali in cui periodicamente si rivitalizza la memoria culturale, soprattutto ad opera di  coloro che sono investiti da ruoli di depositari delle tradizioni della cultura, questi sono chiamati ad effettuare il processo di riattualizzazione della memoria culturale di una data società.
Questi tre processi insieme al processo di comunicazione implicano continue trasformazioni, modifiche all’interno del sistema culturale.
Ogni cultura infatti ha un centro simbolico formato da elementi valoriali, ideali, credenze che sono ritenuti supremi, significativi, importanti. Oltre al centro simbolico formato dalle persone che condividono integralmente questi elementi valoriali, il centro è formato dalla periferia composta di persone che condividono parzialmente i valori di cui sopra.
La comunicazione che parte dal centro e va verso la periferia ha la funzione di tutelare, conservare, preservare lo status quo di una cultura così com’è e si connota come sistema conservatore (pag. 55 del Manuale) Mentre la comunicazione che parte dalla periferia e va verso il centro ha la funzione di innovazione, di cambiamento della cultura stessa. Un sistema culturale vivo e dinamico è quello che ha una comunicazione equilibrata fra centro e periferia e fra periferia e centro. Ciò che rende vitale una cultura è proprio il doppio movimento: la comunicazione centro-periferia tende a dare stabilità al sistema culturale, quella fra periferia-centro ha la funzione di trasformare, di innovare il sistema culturale.
Il secondo movimento impedisce al sistema di morire di entropia, veicolando i valori, gli antagonismi, le situazioni della periferia verso il centro, ciò significa che il sistema è equilibrato e sa cambiare senza tradire la propria identità. (pagg. 54, 55)
Questo modello è quello proposto dallo studioso SHILS, il quale afferma che l’innovazione radicale di un sistema culturale avviene solamente quando i barbari oltrepassano il confine, per barbaro si intende colui che balbetta la nostra lingua, colui che veicola ed è portatore di tradizioni diverse dalla cultura accogliente.
Quando elementi estranei alla nostra cultura entrano in essa producono dei cambiamenti, che non sono da ritenersi necessariamente negativi. Nessuna cultura è impermeabile, per cui elementi barbarici che oltrepassano il confine ci sono sempre, per questo il sistema culturale è in continuo divenire grazie anche ai processi di contaminazione. L’idea che possa esistere una cultura integra è una pura illusione, una mistificazione, se esistesse una cultura così chiusa e isolata, cioè impermeabile, quella cultura sarebbe destinata a morire rapidamente. Solo i sistemi culturali aperti sono in grado di combattere gli elementi di entropia al loro interno e quindi sono in grado di sopravvivere.
Quindi l’essere umano ha un rapporto con se stesso, con la natura, con la realtà, costantemente mediato dalla cultura e dal linguaggio presente al suo interno. Ogni oggetto, anche materiale, con cui entriamo in relazione non è mai un oggetto allo stato puro, noi diamo di quell’oggetto una interpretazione di carattere simbolico. L’antropologia ci dice che l’uomo è un animale simbolico, perché uno degli elementi riconoscibili nella natura umana è il significato che l’uomo attribuisce alle cose con cui entra in contatto. Da questo punto di vista l’uomo è un tessitore di significati, che abita un mondo intriso di significati. Negli anni ’50 un teorico dell’informazione  EDWARD K. KAPLAN scriveva che l’attività simbolica è fra le attività peculiari caratterizzanti l’esistenza umana e che l’intero sviluppo della cultura umana si basa sulla capacità dell’uomo di trasformare il semplice materiale sensorio in veicoli simbolici, ovvero portatori delle più sottili distinzioni intellettuali ed emotive della vita umana. L’attività simbolica nella vita umana è così importante che anziché definire l’uomo come animale razionale (Cassirer) dobbiamo definirlo come un animal simbolicum solo così si possono sottolineare le differenze specifiche.
Un altro elemento importante del fondamento antropologico è quello di considerare l’uomo come tessitore del tempo. L’uomo abita un tempo definito da due limiti: la nascita e la morte. Sin dalle origini, ovvero fin da quando ha acquisito la consapevolezza della propria mortalità,  l’uomo è sempre stato costretto a fare i conti con questo mistero che è il tempo.
L’uomo ha sempre vissuto il tempo come una potenza misteriosa a volte terribile, a volte benefica che ha condizionato pesantemente la sua vita, non per nulla l’uomo ha divinizzato il tempo proprio per poterlo accettare in quanto mistero. Nella Grecia antica la visione mitica del mondo è rappresentata da un serpente che circonda il pianeta e che si morde la coda, un uroboras che porta sul dorso lo zodiaco e che ha una funzione simbolica identificata nella ricorsività degli eventi, nella ciclicità.
Anche nell’antico Egitto il tempo era associato all’immagine di un serpente e l’uomo era protetto dal serpente che era considerato una divinità, la divinità della vita, del tempo e della sopravvivenza dopo la morte.
Anche in altre tradizioni come quella dell’Induismo il tempo era rappresentato come una divinità che faceva perire il mondo quando il tempo era maturo.
Nella cultura Azteca il tempo era associato al dio creatore Omoteol che era ritenuto signore del fuoco e del tempo.
Nell’orizzonte del concetto di tempo l’Antico Testamento propone una concezione diversa. Nel popolo d’Israele, il tempo non è più rappresentato come una divinità ma in qualche modo è la manifestazione del divino nella Creazione; nell’antico testo rabbinico si legge che Dio non si manifesta nello spazio, ma nel tempo. Il tempo è creato, non è preesistente al mondo, alla creazione, è invece esso stesso una parte del creato che ha una origine e avrà una fine che si manifesta nell’ Escato, nel tempo  escatologico. È qui che nasce quella concezione per cui il tempo della Bibbia è un tempo lineare con un inizio e una fine. Nella Bibbia il tempo si manifesta come un ritmo che ha un andamento lineare; in Genesi il cielo, la luna e le stelle tra le funzioni che hanno oltre a quella di illuminare è quella di scandire le feste e suddividere i giorni in festivi e feriali. Questa scansione ciclica del tempo è la prima volta che si definisce. Il Salmo 90/89 rivela perché è importante il ritmo del tempo, nel testo sacro ci si domanda cosa sia  la vita dell’uomo, è come erba falciata al mattino che secca è raccolta alla sera. La vita dell’uomo è fatica e dolore. Al versetto 12 ci si aspetta che il salmista chieda a Dio la grazia di una vita più lunga e meno dolorosa, invece il salmista chiede a Dio:- Insegnaci a contare i nostri giorni e raggiungeremo la sapienza del cuore.-
Infatti se l’uomo riesce a organizzare la propria vita attraverso una scansione temporale ritmica, egli riuscirà a scoprire il senso del suo essere nel mondo.
L’uomo non ha alcun potere sul tempo, ciò che si può fare e scandire la vita seguendo il ritmo armonico del tempo. Questo è uno dei grandi saperi che ci rivela il testo biblico. Ciò è importante soprattutto oggi perché viviamo una profonda trasformazione dell’approccio che l’uomo ha con il tempo, si tende attualmente a disarticolare l’uomo da questo tipo di tempo per fargli vivere una temporalità diversa che gli fa smarrire il senso profondo della sua vita.
Fraser, grande studioso del tempo dice che il tempo tipico dell’uomo è la NOOTEMPORALITA’ o tempo NOETICO  da Noo che deriva dal greco NUS inteso come intelletto ovvero anima intellettiva cioè quella parte immortale dell’anima, secondo Aristotele. La nootemporalità è fatta in modo che l’uomo viva il presente in rapporto a un passato remoto e a un futuro anche non prossimo. L’uomo è l’unico essere vivente capace di vivere passato e futuro nel presente e che può percepire la propria vita come una storia in cui ogni momento della sua vita si lega a quello che lo ha preceduto e a quello che lo seguirà, all’interno di una trama dotata di senso che è la Storia.
L’uomo è emerso alla nootemporalità quando è diventato consapevole della propria mortalità. L’uomo è l’unico essere vivente che sa di dover morire.
Il filosofo Heidegger sostiene che l’uomo matura pienamente quando passa dal SI MUORE ALL’IO MUOIO, quando diventa dolorosamente consapevole della propria caducità.
Per questo tema si consiglia la lettura del libro di Tolstoj “La morte di Ivan Il’ic.

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