giovedì 29 agosto 2013

PEDAGOGIA DELLE RISORSE UMANE IL LAVORO DEL PRIMO MODULO

Sintesi  relativa alle proposte didattiche dei materiali e dei testi presenti nel MODULO 1. 

                 
Sintesi
Per definire cosa sia la Pedagogia è opportuno riflettere sulla radice etimologica del termine che deriva dal greco παιδαγωγός «pedagogo»] γωγός «che guida». L’etimo del termine rappresenta la chiave di lettura per comprendere l’intimo significato che si declina in un duplice movimento: l’andare verso una meta e l’accompagnare il discepolo nel suo percorso formativo, attraverso la cura e la relazione. Questi sono i due movimenti che consentono alla persona di conquistare la propria umanità, la propria irripetibile individualità.
Nella società contemporanea definita “liquida” per la sua complessità, alcuni studiosi ritengono che il significato classico di Pedagogia non sia rispondente ai bisogni educativi delle nuove generazioni, bisogni che emergono non solo nell’età dell’infanzia e della fanciullezza, ma caratterizzano l’intera parabola esistenziale dell’individuo. La Pedagogia dunque non può essere considerata come una pura e semplice scienza portatrice di teorie applicabili come se fossero delle ricette, sempre adatte a rispondere ai molteplici bisogni formativi, essa è un luogo in cui convergono le istanze di numerose scienze che indagano il concetto di educazione. La Pedagogia fornisce delle tesi, ma è l’educazione che propone gli strumenti concreti per promuovere la formazione dell’individuo nella sua completezza dimensionale; la Pedagogia è per questo costituita da numerosi saperi che indagano, da un lato le differenti dimensioni della persona, dall’altro le applicazioni concrete di teorie e metodi dei processi educativi. Si potrebbe dire, allora, che la Pedagogia è lo sfondo integratore entro cui si realizza l’Educazione intesa non solo come i processi dell’ “ex-ducere” e  dell’“in-struere”, ma come il superamento di queste due polarità secondo una visione antropologica dell’uomo come essere progettuale e come centralità del processo educativo che si realizza attraverso la relazione.  Questo è il modello educativo che  rende l’educazione il mestiere possibile, anzi il mestiere necessario affinché l’individuo, essere non definito alla nascita, possa conquistare gli strumenti per auto-costruire la propria identità autentica attraverso la guida che l’educatore è in grado di fornirgli. La visione antropologica di uomo progettuale non definito implica la tesi che senza l’educazione non si dà l’umano, senza l’alleanza tra educatore ed educando non avviene la costruzione della persona. Ma l’alleanza di cui parlo non è un rapporto chiuso, circoscritto, distaccato dalla realtà circostante, anzi, questa alleanza è tanto più determinante quanto più è connessa al sistema simbolico culturale di riferimento, perché l’uomo non si costruisce nell’isolamento esistenziale, ma solo all’interno di sistemi condivisi, aperti, in cui le relazioni rappresentano una sorta di impalcatura sulla quale l’individuo realizza se stesso incorporando e re-interpretando la realtà culturale di appartenenza. L’educazione è, pertanto, il processo che accompagna l’uomo come essere culturale e simbolico, processo che sollecita e promuove la capacità di decodificare gli stimoli sensoriali che provengono dalla cultura di appartenenza, definita dal semiologo Lotman come semiosfera in cui l’uomo abita.  Appropriarsi della cultura in cui si vive e in essa realizzarsi pienamente ci conduce ad effettuare una riflessione sul concetto di cultura; secondo la definizione del Taylor la cultura è un insieme complesso che comprende le conoscenze, le credenze, gli elementi valoriali, le abitudini acquisite dall’uomo come membro di una società che si struttura all’interno di una dimensione statica.  Secondo la tesi del semiologo Lotman la cultura non è un sistema statico, essa è invece un sistema complesso in costante divenire, è paragonabile a un vero e proprio sistema vivente che attraverso il linguaggio e la comunicazione crea ciò che Lotman chiama intelligenza collettiva. Se la cultura si manifesta sempre attraverso la comunicazione, allora l’acquisizione del linguaggio rappresenta uno degli elementi più importanti per poter condividere pienamente e coscientemente la cultura di appartenenza. La cultura si manifesta, dunque, attraverso la comunicazione che, a sua volta si esprime, come afferma lo studioso Levy Strauss,  attraverso tre processi: lo scambio dei segni, ovvero, nel modo tradizionale;  lo scambio dei beni e dei servizi; lo scambio parentale. Le tre forme comunicative, attraverso la lingua,  veicolano la cultura di una società e sottendono un rapporto di circolarità e influenza reciproca: la cultura rende possibile la comunicazione che, a sua volta, modifica, attraverso l’uso che i parlanti fanno di essa, la cultura stessa.
L’uomo, tuttavia, non abita solo la propria cultura, egli è un cittadino del tempo, di un tempo che si dispiega all’interno della parabola fra l’origine, cioè la nascita e la fine, ovvero, la morte. L’individuo è l’unico essere vivente in grado di comprendere la caducità della propria esistenza, è l’unico che sa di dover morire, ma non gli è concesso di conoscere il tempo in cui ciò avverrà. L’uomo ha sempre vissuto il tempo come una potenza misteriosa, e per poterlo accettare, in quanto mistero, ha avuto bisogno di divinizzarlo, di costruirsi dei miti in grado di alleggerire il fardello della sua impotenza di fronte all’impenetrabilità del mistero-tempo. La storia della civilizzazione umana delinea un uomo che ha tentato di esercitare un controllo sul tempo, traducendo il suo bisogno di conoscenza con  la rappresentazione simbolica, nelle sembianze di serpente come l’ouroboros, nell’antica Grecia, o come avviene nella cultura Azteca in cui il tempo è identificato con il dio creatore Omotéolt, signore del fuoco e signore del tempo.
Nelle trama della storia l’interpretazione del tempo umano ha subito una svolta epocale insita nel messaggio biblico, laddove il tempo è collocato in una posizione diversa rispetto a quella delle altre religioni o del pensiero greco classico. Nell’Antico e Nuovo Testamento il tempo da nemico si fa amico dell’uomo, il cristiano illuminato dalla Parola interpreta il tempo non più come una linea o come un ciclo dentro il quale si susseguono gli eventi, inevitabilmente subiti dall’uomo stesso; il tempo biblico interpreta la vita come un ritmo entro cui l’uomo può agire attivamente tracciando il suo cammino verso la salvezza offerta da Dio attraverso il sacrificio del Figlio. In un certo senso l’interpretazione biblica restituisce all’individuo quell’equilibrio necessario per vivere il proprio tempo in modo armonico, rispettando la scansione degli eventi con saggezza,  ricercando così il senso profondo della propria vita e del suo essere sulla Terra. Nell’attuale società si assiste ad una grave crisi delle temporalità umane, secondo Fraser, l’uomo moderno vive una strana condizione, una sorta di distacco dal proprio tempo  noetico, ovvero il tempo dell’intelletto, che lo porta a smarrire il senso profondo della vita. Si smarrisce il senso profondo della vita quando la nootemporalità, cioè il tempo  a misura d’uomo, capace di interpretare e sostenere l’esistenza tutta dell’individuo, è banalizzato dalla meccanicità della vita sociale, totalmente immersa nel presente. La crisi della nootemporalità, a vantaggio della socio temporalità, fa smarrire l’individuo moderno che non è più in grado di realizzare il suo progetto per il futuro. L’uomo sociotemporale è colui che inconsapevolmente ha perso la speranza nel futuro vivendo solo all’interno di un tempo spazializzato, esclusivamente presente. Attualmente sembra che il presente sia l’unica dimensione esistenziale che accenda l’umano, si tratta però di una illuminazione fittizia che impedisce all’individuo di crescere imparando dalla storia, di rielaborare il messaggio storico in funzione del presente e in funzione costruttiva per il proprio futuro. Il vissuto diacronico si sgretola di fronte alla necessità moderna di vivere omologando se stessi al presente. Lo spazio-velocità vissuto oggi fa perdere la consapevolezza di far parte della storia, fa perdere la forza di produrre storia e di coltivare i progetti esistenziali. Ciò che bisogna riconquistare, invece, è un corretto equilibrio fra tempo e spazio, fra tempo dell’interiorità e della socialità.  Il tempo non spazializzato, quello definito da Bergson “durata reale”, ovvero il tempo vissuto dalla coscienza dell’individuo, il tempo dell’anima, questa è la dimensione temporale da ricostituire a nuova cittadinanza.


  

                                                                                      Lisia Piovano








Nessun commento:

Posta un commento

Sono interessata al tuo commento se:
non è anonimo
se usi un linguaggio corretto, decoroso e rispettoso
se ti esprimi in modo attinente al contenuto del post.
In caso contrario il tuo commento non sarà pubblicato.