Sintesi relativa alle proposte didattiche dei
materiali e dei testi presenti nel MODULO 3
Affrontare il tema dell’educazione come rapporto di
comunicazione reciproca fra due o più individui ci spinge a porre l’attenzione
intorno alla figura dell’educatore. Buber afferma che “l’apertura del soggetto verso il mondo deve esser ordinata nella
persona dell’educatore”, in questa considerazione vi è un messaggio implicito che ci fornisce il primo indizio circa
le caratteristiche che l’educatore deve possedere quando si appresta ad
esercitare il suo compito.
Se l’apertura del soggetto verso il mondo è connessa al modo di concepire la realtà da parte dell’educatore, ciò vuol dire che, in primo luogo, è necessario che l’educatore abbia una visione chiara di come l’educando interpreta il mondo e quali siano le relazioni che egli instaura all’interno della realtà in cui è inserito in modo da guidarlo nel processo di riordino e selezione del proprio modello culturale, per avviarlo, così, alla piena realizzazione della sua umanità. Ciò vuol dire che la piena realizzazione dell’educando non può avvenire nell’isolamento, ma solo se inserito all’interno di una cultura sociale, questo inserimento non avviene come un fatto puramente tecnico, infatti, come affermava Heidegger, l’uomo non può che pensarsi come appartenente al mondo e quindi in relazione costante con esso. Senza relazioni dunque il mondo non esisterebbe, senza mondo l’individuo, a sua volta, non potrebbe esistere, non ci sarebbe stato il processo di evoluzione e di conquista culturale di cui l’individuo è il principale artefice. Allora l’educatore adulto ha il compito di impegnarsi a riordinare la trama delle relazioni proprie e del soggetto a cui è rivolto il processo educativo. Educare significa agire per costruire le condizioni culturali in cui il giovane possa esprimere le sue potenzialità; si tratta dunque di costruire un percorso fatto di azioni intenzionali e consapevoli che non siano il frutto di improvvisazione approssimativa. L’educazione è quindi l’evento che permette al giovane di sviluppare e indirizzare criticamente tutte le sue energie per tutelarsi da quegli elementi distruttivi presenti nella società che potrebbero minare la realizzazione del suo progetto esistenziale. Questo ruolo richiede che l’educatore sia adulto nel senso più pieno della parola o meglio che persegua e realizzi continuamente la propria adultità. La condizione di adultità non si raggiunge solo o necessariamente con l’età anagrafica, essere adulti non significa l’aver concluso il proprio processo evolutivo, essere adulti significa coltivare la propria maturità, comprendere la necessità della ricostruzione continua della propria interiorità attraverso l’incontro con l’altro; essere adulti significa controllare e riappropriarsi del bisogno di cambiamento come forza generatrice che alimenta il processo educativo all’interno della relazione. Proprio la relazione significativa che si instaura fra educando ed educatore è il nucleo entro il quale si può costruire la reciprocità e la cooperazione; reciprocità intesa come la disponibilità dell’educatore a educarsi a sua volta mentre educa, attraverso la capacità di cooperare con il proprio allievo e di sostenerlo in modo solidale nel suo percorso di crescita. Allora essere adulti, usando le parole di Bergson “….significa cambiare, cambiare significa maturare, maturare significa creare se stessi incessantemente”. Si può affermare che l’età adulta è la fase in cui l’individuo deve far evolvere la differenza conquistata nella fase evolutiva precedente. Essa è la fase in cui la persona deve restituire i frutti della propria evoluzione, ricambiando ciò che ha ricevuto nel corso del suo processo di formazione personale. Infatti l’adulto ha costruito la sua individualità originale solo perché dietro al suo Io è esistito un Noi che gli ha fornito l’aiuto necessario al suo farsi uomo. L’educatore è uno dei più importanti restitutori dei doni ricevuti dalle generazioni precedenti e il suo impegno educativo gli permette di pagare il suo debito formativo, donando se stesso agli altri, a quelli verso i quali è rivolta la sua cura che per essere efficace deve porre le sue basi all’interno di una comunicazione reciproca dotata di alcuni elementi utili a trasformarla in autentica comunicazione interpersonale. La possibilità dell’educatore di accogliere in modo adulto il giovane dandogli fiducia passa, dunque, proprio attraverso l’esistenza di una comunicazione autentica tra lui e il giovane. La comunicazione autentica non è data solo dalla qualità dei contenuti, ma anche e soprattutto dalla qualità della relazione umana. S. Tommaso, chiamava le parole signa, orali o scritte, e li definiva strumenti tra i più nobili e potenti per produrre la scienza nell’animo del discepolo. Lo scambio dialogico non è un semplice dare e ricevere dei segni portatori di specifici significati, lo scambio assomiglia più ad una competizione che ad un travaso o ad un trasporto reciproco di segni. Tra le persone avviene una sorta di conflitto-competizione, in cui lo scopo di ognuna di esse è quello di portare l’altra sul terreno dei propri significati, come afferma Lotman. Ogni persona infatti attribuisce ai segni che utilizza, specialmente nell’attuale cultura sociale, un significato che è in gran parte personale, legato cioè alla propria esperienza esistenziale soggettiva e a quella del gruppo sociale in cui vive.
Se l’apertura del soggetto verso il mondo è connessa al modo di concepire la realtà da parte dell’educatore, ciò vuol dire che, in primo luogo, è necessario che l’educatore abbia una visione chiara di come l’educando interpreta il mondo e quali siano le relazioni che egli instaura all’interno della realtà in cui è inserito in modo da guidarlo nel processo di riordino e selezione del proprio modello culturale, per avviarlo, così, alla piena realizzazione della sua umanità. Ciò vuol dire che la piena realizzazione dell’educando non può avvenire nell’isolamento, ma solo se inserito all’interno di una cultura sociale, questo inserimento non avviene come un fatto puramente tecnico, infatti, come affermava Heidegger, l’uomo non può che pensarsi come appartenente al mondo e quindi in relazione costante con esso. Senza relazioni dunque il mondo non esisterebbe, senza mondo l’individuo, a sua volta, non potrebbe esistere, non ci sarebbe stato il processo di evoluzione e di conquista culturale di cui l’individuo è il principale artefice. Allora l’educatore adulto ha il compito di impegnarsi a riordinare la trama delle relazioni proprie e del soggetto a cui è rivolto il processo educativo. Educare significa agire per costruire le condizioni culturali in cui il giovane possa esprimere le sue potenzialità; si tratta dunque di costruire un percorso fatto di azioni intenzionali e consapevoli che non siano il frutto di improvvisazione approssimativa. L’educazione è quindi l’evento che permette al giovane di sviluppare e indirizzare criticamente tutte le sue energie per tutelarsi da quegli elementi distruttivi presenti nella società che potrebbero minare la realizzazione del suo progetto esistenziale. Questo ruolo richiede che l’educatore sia adulto nel senso più pieno della parola o meglio che persegua e realizzi continuamente la propria adultità. La condizione di adultità non si raggiunge solo o necessariamente con l’età anagrafica, essere adulti non significa l’aver concluso il proprio processo evolutivo, essere adulti significa coltivare la propria maturità, comprendere la necessità della ricostruzione continua della propria interiorità attraverso l’incontro con l’altro; essere adulti significa controllare e riappropriarsi del bisogno di cambiamento come forza generatrice che alimenta il processo educativo all’interno della relazione. Proprio la relazione significativa che si instaura fra educando ed educatore è il nucleo entro il quale si può costruire la reciprocità e la cooperazione; reciprocità intesa come la disponibilità dell’educatore a educarsi a sua volta mentre educa, attraverso la capacità di cooperare con il proprio allievo e di sostenerlo in modo solidale nel suo percorso di crescita. Allora essere adulti, usando le parole di Bergson “….significa cambiare, cambiare significa maturare, maturare significa creare se stessi incessantemente”. Si può affermare che l’età adulta è la fase in cui l’individuo deve far evolvere la differenza conquistata nella fase evolutiva precedente. Essa è la fase in cui la persona deve restituire i frutti della propria evoluzione, ricambiando ciò che ha ricevuto nel corso del suo processo di formazione personale. Infatti l’adulto ha costruito la sua individualità originale solo perché dietro al suo Io è esistito un Noi che gli ha fornito l’aiuto necessario al suo farsi uomo. L’educatore è uno dei più importanti restitutori dei doni ricevuti dalle generazioni precedenti e il suo impegno educativo gli permette di pagare il suo debito formativo, donando se stesso agli altri, a quelli verso i quali è rivolta la sua cura che per essere efficace deve porre le sue basi all’interno di una comunicazione reciproca dotata di alcuni elementi utili a trasformarla in autentica comunicazione interpersonale. La possibilità dell’educatore di accogliere in modo adulto il giovane dandogli fiducia passa, dunque, proprio attraverso l’esistenza di una comunicazione autentica tra lui e il giovane. La comunicazione autentica non è data solo dalla qualità dei contenuti, ma anche e soprattutto dalla qualità della relazione umana. S. Tommaso, chiamava le parole signa, orali o scritte, e li definiva strumenti tra i più nobili e potenti per produrre la scienza nell’animo del discepolo. Lo scambio dialogico non è un semplice dare e ricevere dei segni portatori di specifici significati, lo scambio assomiglia più ad una competizione che ad un travaso o ad un trasporto reciproco di segni. Tra le persone avviene una sorta di conflitto-competizione, in cui lo scopo di ognuna di esse è quello di portare l’altra sul terreno dei propri significati, come afferma Lotman. Ogni persona infatti attribuisce ai segni che utilizza, specialmente nell’attuale cultura sociale, un significato che è in gran parte personale, legato cioè alla propria esperienza esistenziale soggettiva e a quella del gruppo sociale in cui vive.
Ci sono vari modelli che descrivono e spiegano la comunicazione, molti
di essi risolvono in modo idraulico e meccanicistico il mistero del realizzarsi
dell’incontro di due persone sul terreno comune del significato. La
comunicazione non è un semplice travaso di informazioni da una persona all’altra
e viceversa, anche se nella comunicazione avviene lo scambio di parole, che hanno una carica
performativa di grande valore. Per comprendere al meglio cosa avviene
all’interno della comunicazione interpersonale è utile fare riferimento al
modello di interpretazione elaborato dai filosofi Carnap e Morris, i quali
avevano diviso la comunicazione in tre grandi categorie: la sintassi, la pragmatica e la semantica,
pur riconoscendo che la comunicazione è comunque un evento unico.
Il primo livello, quello della sintassi, studia i codici, le norme che
permettono la costruzione del linguaggio.
Il secondo livello, quello della pragmatica, raccoglie gli studi che
analizzano come la comunicazione influenza il comportamento tra i comunicanti
indipendentemente dal contenuto del messaggio.
Il terzo livello, quello della semantica, studia i significati presenti
all’interno del messaggio.
Se consideriamo che l’efficacia di un processo educativo dipende
anche e soprattutto da come si struttura
la comunicazione interpersonale, allora comprendiamo che il livello della
pragmatica è quello che maggiormente condiziona lo scambio verbale. La
pragmatica sistemico-relazionale è stata elaborata dagli studiosi della scuola
di Palo Alto, WATZLAWICK, JACKSON e
altri, dalle loro analisi si evince
ciò che il professor Pollo chiama assioma,
secondo cui nella comunicazione interpersonale vi sono due aspetti
fondamentali, uno relativo al contenuto,
l’altro alla relazione. La relazione
classifica il contenuto, diventando così metacomunicazione. Il contenuto
trasmette i dati della comunicazione, mentre il tipo di relazione indica il
modo in cui tale comunicazione deve essere decodificata da chi la riceve; anche
il contesto in cui si svolge la comunicazione serve a precisare ulteriormente
la relazione, dando un senso più profondo al messaggio. Dunque la corretta
decodifica del contenuto di un messaggio dipende dal tipo di relazione che è in
atto tra le due persone nel momento in cui il messaggio viene trasmesso.
Ciò che condiziona le modalità di decodifica del messaggio sono gli
elementi cosiddetti prossemici che intercorrono all’interno della relazione,
ovvero, il tono di voce, la mimica, lo sguardo. Nell’educazione affinché ciò
che comunichiamo sia efficace deve contenere una coerenza fra ciò che dico, in
modo esplicito, e ciò che trasmetto in modo implicito; se dico a una persona
che sono disposta a sostenerla ciò deve essere confermato dalla mimica, ovvero,
dalla vicinanza affettivo-emozionale che accompagna il messaggio. Se c’è un
conflitto, una incoerenza tra contenuto e relazione, la persona tende a
prendere per buono gli elementi della relazione che si instaura in quel
momento e non il contenuto, ovvero non
siamo credibili nelle nostre intenzioni.
Quando la relazione nega la veridicità del contenuto allora sorgono
problemi di comprensione e fiducia, perciò San Tommaso affermava che il maestro
deve aver vissuto ciò di cui parla per garantire quella necessaria coerenza fra contenuto e relazione.
La comunicazione fra educatore ed educando può avvenire sia in un
rapporto duale sia all’interno del piccolo gruppo, detto anche gruppo primario.
Per gruppo si intende un sistema sociale
formato da persone che condividono scopi comuni,
attraverso l’espressione autentica della propria autonomia e libertà. Ciò che
fa vivere nel tempo il gruppo sono proprio le relazioni comunicative che si
generano al suo interno; si può dire che il gruppo esiste solo quando tra i
suoi membri nasce una vera e propria rete di comunicazione. A questa
affermazione si potrebbe obiettare dicendo che comunque l’individuo instaura
costantemente reti di comunicazioni all’interno della comunità sociale di
appartenenza, ma le reti che nascono nel piccolo gruppo sono caratterizzate da
una forte intensità emotiva che decreta un coinvolgimento alla vita del gruppo
di alto livello, una partecipazione estremamente significativa, soprattutto dal
punto di vista esistenziale. Ciò che avviene nel gruppo è la possibilità che
ogni membro ha di condividere e soddisfare particolari bisogni e scopi ben
definiti, pur conservando la propria preziosa individualità.
È proprio nel gruppo che la persona può manifestare la propria
condizione di individuo ben definito, e attraverso
i rapporti con gli altri, può dare vita a un sistema di solidarietà reciproca.
Lisia Piovano
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